Quando i proprietari di un immobile scoprono, dopo la compravendita, che sul bene gravano abusi edilizi taciuti dal venditore, possono agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni. In un caso affrontato dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 28765 del 7 novembre 2024), è stato chiarito che le spese sostenute dall’acquirente per eliminare gli abusi edilizi non si sovrappongono al risarcimento ottenuto per il deprezzamento dell’immobile.
I fatti della vicenda
In seguito alla compravendita, i nuovi proprietari di un immobile hanno scoperto che il venditore aveva taciuto la presenza di abusi edilizi. Gli acquirenti hanno agito contro il venditore per truffa contrattuale, chiedendo il rimborso delle spese sostenute per eliminare i vizi e un risarcimento per il deprezzamento dell’immobile.
Il venditore ha sostenuto che concedere entrambi gli importi configurasse un’ingiustificata duplicazione del risarcimento e ha ricorso in Cassazione.
La posizione della Corte di Cassazione
La Cassazione ha escluso la sussistenza di una duplicazione risarcitoria, specificando che:
Le spese per eliminare gli abusi edilizi riguardano esclusivamente l’eliminazione fisica dei manufatti abusivi;
Il risarcimento per deprezzamento si riferisce al fatto che il valore originario dell’immobile rimane compromesso anche dopo la rimozione degli abusi.
Pertanto, le due voci di risarcimento sono autonome e cumulabili.
La normativa applicabile
In caso di compravendita di un immobile gravato da abusi edilizi, l’acquirente può agire in base all’art. 1489 c.c., che disciplina i beni gravati da oneri non apparenti. Questo articolo consente al compratore di chiedere:
La risoluzione del contratto;
Una riduzione del prezzo;
Il risarcimento dei danni.
Secondo la giurisprudenza, il termine di prescrizione per agire è decennale e decorre dal momento in cui il compratore viene a conoscenza degli abusi.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte ha precisato che il valore dei manufatti abusivi era stato considerato al momento della determinazione del prezzo di vendita. Tuttavia, una volta eliminati i manufatti, l’immobile subisce comunque un deprezzamento, perché il suo valore originario non può essere ripristinato.
Le spese sostenute per la rimozione degli abusi non compensano il deprezzamento, ma servono unicamente a sanare la situazione urbanistica. Per questo motivo, è legittimo riconoscere sia il rimborso delle spese per l’eliminazione degli abusi, sia la riduzione del prezzo.
La questione della motivazione della sentenza di merito
Il venditore ha anche contestato la validità della sentenza della corte d’appello, sostenendo che i giudici non avessero adeguatamente motivato il loro accoglimento delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio (CTU).
La Cassazione ha rigettato questa censura, sottolineando che:
I giudici di merito avevano esplicitato le ragioni per cui avevano accolto le conclusioni della CTU;
Il ricorrente non aveva fornito elementi specifici per dimostrare l’inadeguatezza della motivazione o errori della CTU, limitandosi a contestare genericamente le conclusioni dei giudici.
In base al principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, le doglianze devono essere dettagliate e supportate da elementi concreti, per consentire alla Corte di verificare eventuali errori.
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